da “LETTRES À UN PETIT FRÈRE”

Evry Paris add

origini dell’Art Du Déplacement

(…) COME PER OGNI COSA TI DEVI CHIEDERE COME TUTTO È INIZIATO

Per cominciare devo parlarti del terreno su cui la pratica ha germogliato, dentro il quale ha fondato le sue radici, e del perché certi elementi l’hanno influenzata, o condizionata.
Per terreno intendo luoghi fisici come i boschi, i parchi, la strada e i suoi edifici, ma anche e soprattutto le persone. Un mondo esterno senza menzogne, senza trucco e non asettico, quello vero, in cui siamo entrati in collisione con ogni sorta di vibrazione ed emozione. La frustrazione, l’amore ostinato, la rabbia, la disperazione e la speranza irragionevole… l’istinto di sopravvivenza.
Un terreno a cui noi siamo rimasti connessi.
Questo contatto permanente con il mondo esterno ha umanamente arricchito la nostra pratica, fino al punto in cui è diventato un legame anche tra noi, la città e i suoi abitanti. Non sarebbe stato così se fossimo rimasti dentro a una stanza, circondati da muri e coperti da un tetto.
Penso che questo ci abbia protetto dal non dimenticare.
Dimenticare da dove veniamo.
Dal nulla, in cui saremmo dovuti rimanere.
Grazie a questo contatto permanente abbiamo anche affinato la nostra sensibilità, la nostra facoltà d’empatia. Una grande ricchezza per la trasmissione della nostra pratica, inestimabile. Un vero veleno per gli affari.
Raramente abbiamo disertato questo terreno di gioco.
Raramente abbiamo abbandonato questo mondo. Grezzo. Mi sarebbe piaciuto dire mai ma non ne sono così sicuro.
Siamo stati testimoni della cultura hip hop in Francia e, in qualche modo, ne siamo stati coinvolti. Quando fece la sua prima apparizione in Francia noi avevamo già iniziato la nostra ricerca. Non ci ha subito influenzato dal punto di vista dei movimenti ma fu senza dubbio una fonte d’ispirazione perché avevamo in comune il luogo di espressione.
La strada.
Cosa che ai nostri occhi gli conferiva rispettabilità. (…)
Abbiamo assistito all’inizio della diffusione della boxe tailandese fino al suo culmine. Una cultura della forza, della durezza e del combattimento, che ha incontrato un gran successo nei quartieri periferici, ed ha orientato alcune nostre esplorazioni dell’allenamento, attraverso giochi a volte anche aggressivi. (…) Ma la dimensione combattente presente dell’Art Du Déplacement proviene da Yann originario d’una cultura guerriera.
Dopo abbiamo “incontrato” la capoeira tramite Williams che ha avuto un’influenza notevole nella ricerca di fluidità che lui stesso ha denominato Naga. In Polonia ho incontrato uno dei più vecchi maestri di capoeira Angola. Storie diverse ma un punto comune : o ti muovi o soccombi.
Tra gli altri fattori che hanno condizionato l’Art Du Déplacement e non poco, c’è quello economico. Per farla breve venivamo da famiglie semplici, modeste. Non morivamo di fame, ma numerose attività ci erano inaccessibili. Da adulti la situazione era poco più brillante. Questa carenza economica ci ha costretto a stare lontano dalle attività istituzionali.
È stato un bene, una forza.
Non abbiamo avuto altra scelta che trovare altre risorse, quelle che la città ci offriva gratuitamente. Senza lamentarci di quello che ci mancava, abbiamo usato quello che c’era. Muri, pali, panchine…
Non era vietato, non era autorizzato.
Non avevamo neanche preso in considerazione le differenze dei nostri colori o delle nostre culture d’origine, eravamo amici. Consideravamo le persone al di là della loro appartenenza etnica. Sono stati i media a darne risalto sottolineando la nostra varietà così speciale, e solo allora ne abbiamo preso coscienza. Inconsciamente portavamo e portiamo un messaggio di pace e tolleranza. Anche se non sapevamo che fosse tolleranza.
Eravamo semplicemente amici.
Questo spiega in parte perché dove ci sono dei corsi dell’Art Du Déplacement riusciamo a mettere insieme delle persone con storie molto diverse. Naturalmente, senza forzare la mano.

Brano tratto dal prologo di “Lettres à un petit frère” di Laurent Piemontesi